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Italian traductions and Resources on Relativity
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La possibilita` del completamento della richiesta di relativita` nella meccanica classicaE.Schrodinger
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Erwin Schrodinger è uno dei padri fondatori della Meccanica Quantistica ed è considerato a ragione uno dei maggiori fisici del 900. Nell’articolo (“The possibility of Fulfillment of the relativity requirement in Classical Meccanic”, Annalen der Physik,1925) che andiamo a tradurre in seguito, non è presente alcun contributo in relazione allo sviluppo della nuova meccanica, ma semplicemente vi è una nota che tenta di “riformulare” la meccanica tradizionale in termini esclusivamente relativi (al di fuori della nuova teoria della Relatività Generale sviluppata in quegli anni da Einstein).
Un obiettivo in primo luogo ricercato da E.Mach che alla fine dell’800 (“La Meccanica nel suo sviluppo storico critico”,1872) cercò di svincolare i fondamenti della Meccanica Classica dai concetti newtoniani di spazio e tempo assoluti. In particolare l’inerzia fu analizzata approfonditamente e si riuscì a mostrare che essa non era tanto legata allo stato di moto del corpo in esame quanto piuttosto all’insieme di masse rispetto a cui era valutato il suo movimento. Ad esempio il Principio di Inerzia nella formulazione machiana asseriva che un corpo persevera nel suo stato di quiete se la sua accelerazione media in riferimento alle altre masse dell’universo è nulla.
L’opera di Mach ebbe una grande influenza sulla comunità scientifica tedesca e in questa breve introduzione ricordiamo in special modo i fratelli Friedlaender e il matematico Hofmann. Benedist Friedlander, ad esempio, propose una serie di considerazioni sull’inerzia in tipico stile machiano (“Absolute or relative motion”, 1896) che andiamo ora brevemente a descrivere. Egli considerò la legge di inerzia nella sua forma usuale (ogni corpo si oppone ad una qualunque modifica del suo stato di moto con una resistenza proporzionale alla sua massa) e notò che se il corpo varia la sua velocità, cioè subisce un’accelerazione, significa che su di esso ha agito un lavoro esterno espresso dalla sua Energia Cinetica. Inoltre, tenendo presente che il concepire il moto di un oggetto in assenza degli altri corpi è un non senso , ne consegue che il concetto di inerzia assume una caratteristica puramente relativa. La legge di Inerzia può allora essere formulata nel modo seguente: tutte le masse cercano di mantenere il loro stato di moto reciproco sia per quanto riguarda la velocità che la direzione ed ogni loro cambiamento richiede una spesa positiva o negativa di energia (positiva se la velocità diminuisce, negativa se essa aumenta).
Le considerazioni di B.Friedlaender hanno il pregio di introdurre il concetto di Energia Cinetica Relativa, senza però svilupparlo ulteriormente (i suoi obbiettivi erano solo sperimentali); questo passo è compiuto, almeno in parte, da Hofmann nel 1904 (“Motion and Inertia”, 1904).
Consideriamo al riguardo uno spazio infinito in cui sono presenti due punti materiali A e B che si allontanano l’un l’altro con una determinata velocità. In questo caso la legge di inerzia si può formulare asserendo che i due corpi mantengono il loro moto relativo ed inoltre è lecito affermare che l’inerzia di A si manifesta nel fatto che la sua distanza da B aumenta in modo continuo (lo stesso discorso vale per B). Considerata in questo modo, l’inerzia di un corpo è la rappresentazione di un ‘rapporto’ con l’altra massa. In termini più generali possiamo affermare che ‘Ogni corpo è soggetto alla legge di conservazione dello stato di moto relativo in riferimento agli altri corpi; il suo comportamento osservato è dunque la risultante di tutte le interazioni individuali’.
Si noti inoltre che il concetto di energia cinetica deriva dall’inerzia (come aveva già osservato B.Friedlander) in quanto ogni corpo in movimento ha una capacità a compiere lavoro che si manifesta proprio nella sua vis viva. Consideriamo ora due masse ineguali M ed m che si avvicinano l’un l’altra con una certa velocità. Se scelgo M come sistema di riferimento si ha che m rappresenta la massa in moto con una certa energia cinetica; viceversa, se cambio sistema di riferimento e passo ad m, avrò che M risulta in moto ed è dotata di una sua capacità a compiere lavoro (vis viva). E’ interessante chiedersi ora quale sia il rapporto fra le due energie cinetiche osservate. La risposta a prima vista sembra semplice: tenendo presente la ben nota formula dell’energia cinetica e il fatto che la velocità risulta la medesima in entrambi i casi, se ne deduce che la massa maggiore dispone di una vis viva più grande rispetto a quella della minore. Ma purtroppo non ci troviamo in questo semplice caso come dimostra il seguente ragionamento. Supponiamo che le due masse M e m alla fine collidano come risultato del loro reciproco avvicinamento; in conseguenza a ciò la loro capacità a compiere lavoro si manifesta interamente. Immaginiamo inoltre di posizionare nel punto di impatto uno strumento in grado di assorbire e registrare l’energia cinetica dei due corpi, dunque il lavoro che è stato compiuto. Se inizialmente scegliamo M come sistema di riferimento, abbiamo che l’energia immagazzinata dallo strumento rappresenta il lavoro compiuto da m in M; se, invece, consideriamo m come sistema di riferimento, la stessa quantità di energia deve essere vista come il lavoro compiuto da M in m. Dunque la quantità di energia posseduta dalle masse ineguali M ed m è la stessa. Possiamo dunque trarre la seguente importante conclusione: ‘se due sistemi massivi M ed m sono in moto relativo, la vis viva di M in riferimento ad m è uguale alla vis viva di m in riferimento ad M.
Essendo la forma attuale dell’energia cinetica oramai inadatta, come dimostra il ragionamento precedente, ci troviamo nella condizione di dover fornirne una nuova. Seguiamo brevemente la via indicata da Hofmann: l’effetto inerziale di una massa M in relazione ad un’altra massa m è una funzione di entrambe, quindi l’espressione della vis viva deve contenere entrambe le masse e può essere indicata come L=k·M·m·f( r )·v2 dove k è la vis viva posseduta da due masse unitarie che si muovono con velocità unitaria e f( r ) una funzione della distanza relativa r che può avere una possibile influenza nella determinazione dell’energia cinetica.
La nuova energia cinetica indicata da Hofmann è senza alcun dubbio interessante però non ancora completa; si osservi infatti che sia k che la funzione f( r ) presentano ancora una forma non del tutto chiara. L’ultimo passo che si deve fare per avere una energia cinetica completamente relativa è compiuto da Schrodinger nell’articolo seguente: egli considera due masse m ed M poste ad una distanza r che si muovono con una certa velocità v. Compie in seguito due assunzioni: 1) l’energia cinetica , come il potenziale newtoniano, deve dipendere dalle due masse e dalla loro distanza relativa; 2) l’energia cinetica deve essere proporzionale al quadrato della velocità relativa. Con queste due richieste egli ottiene che l’Energia cinetica assume la forma L = g (m · M · v2) / r, dove G è una costante il cui valore è calcolato pari a 3.
Oltre alla formulazione di una corretta energia cinetica relativa, l’articolo che abbiamo tradotto risulta interessante per alcune ulteriori conclusioni. In primo luogo Schrodinger costruisce un semplice modello cosmologico in ambito strettamente meccanico da cui deduce che la precessione del perielio di Mercurio è un effetto machiano. In secondo luogo, partendo proprio da quest’ultimo risultato, riesce a compiere alcune previsioni di carattere cosmologico sulla massa presente.
Un’ultima considerazione è interessante compiere per concludere questa breve introduzione. La precessione del perielio di Mercurio è una delle previsioni più significative della Relatività Generale, una teoria che si allontana grandemente dal campo e dalla struttura della Meccanica Classica; come ci dobbiamo ora comportare notando il fatto che la stessa Meccanica Classica riesce a giustificare in modo adeguato lo stesso fenomeno? Dobbiamo forse riabilitare completamente la meccanica tradizionale? Questi quesiti sono interessanti ma non li andremo ad affrontare in questa sede: ci limitiamo solo ad osservare che un fenomeno naturale non è discriminante per scegliere fra due teorie in competizione, anzi proprio questo caso mostra che una teoria ‘in difficoltà’ in riferimento ad un fenomeno osservato – spiegato invece da quella rivale – può sempre escogitare delle ipotesi aggiuntive per recuperare alle deficienze previsionali.
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Esiste un effetto gravitazionale analogo all'induzione Elettrodinamica?A. Einstein
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La ‘Meccanica nel suo sviluppo storico critico’ (1883) di E. Mach ebbe una notevole influenza nella creazione della Relatività Generale di A. Einstein come dimostrano le numerose attestazioni di stima che quest’ultimo ebbe nei confronti del primo. E’ riflettendo su alcune interpretazioni dei passi machiani che lo scienziato tedesco raggiunse al fine i principi cardine della nuova teoria sulla gravitazione quali il Principio di Equivalenza e quello di Covarianza Generale. Un Principio in particolare è da prendere in esame se si vuole valutare l’influenza che Mach ebbe su Einstein; un principio che il secondo formula solamente nel 1918 e che assume il nome di Principio di Mach:
Il campo G è completamente determinato dalle masse dei corpi. Poiché la massa e l’energia, in accordo con i risultati della Relatività Speciale, sono la medesima cosa, e poiché l’energia è formalmente descritta nel tensore simmetrico ( T ), se ne deduce che il campo G è condizionato e determinato dal tensore dell’energia-impulso. (Einstein, Albert, Prinzipielles zur allgemeinen Relativitatstheorie, Annalen der Physic 55,(1918)
La citazione riportata è la conclusione di una profonda e continua riflessione che Einstein sviluppa in diversi anni e il cui primo passo – almeno negli scritti pubblici - è da riscontrarsi nell’articolo che andiamo a tradurre (Einstein, Albert, “Gibt es eine Gravitationswirkung die der elektrodynamischen Induktionswirkung analog is?”, Vierteljahrsschrift fur gerichtliche Medizin und offentliches sanitatswesen,44, (1912)). In esso si considera un guscio sferico di materia e un punto massivo al suo interno e si valuta la possibilità dell’esistenza di un effetto analogo all’induzione elettromagnetica nel caso della teoria gravitazionale che Einstein stava sviluppando in quegli anni. Il risultato a cui si perviene è che l’effetto ricercato è espresso da una forza “inerziale” che il guscio sferico esercita sul punto materiale, quando si muove con una certa accelerazione. A conclusione di tutto ciò Einstein afferma:
…la presenza del guscio sferico inerziale K incrementa la massa inerziale del punto materiale P posto al suo interno. Questo fatto rende plausibile l’idea che l’intera inerzia di un punto massivo sia l’effetto della presenza di tutte le altre masse, risultante da una qualche interazione con esse. Questo è esattamente il punto di vista che Mach ha argomentato in modo persuasivo nelle sue penetranti ricerche sulla questione.
Ma quali sono le ricerche indicate da Einstein? Esse si riconducono ad alcuni passi del paragrafo forse più notevole della Meccanica dove Mach analizza e critica i concetti di spazio e tempo assoluti della teoria newtoniana. In special modo sono le considerazioni sull’esperimento del secchio che attirano maggiormente la nostra attenzione (vedi al riguardo la nota Alcune osservazioni sull'esperimento del secchio): in esse Mach osserva
L’esperimento newtoniano del vaso pieno d’acqua sottoposto a moto rotatorio ci insegna solo che la rotazione relativa dell’acqua rispetto alle pareti [in corsivo] del vaso non produce forze centrifughe percettibili, ma che tali forze sono prodotte dal moto rotatorio relativo alla massa della terra e agli altri corpi celesti. (a)
E poco più avanti prosegue
Nessuno può dire quale sarebbe l’esito dell’esperimento, in senso qualitativo e quantitativo, se le pareti del vaso divenissero sempre più massicce, fino ad uno spessore di qualche miglio (b)
Leggendo questi passi sembrerebbe che le stelle fisse abbiano una qualche influenza sulla presenza delle forze inerziali e che queste ultime siano prodotte dal moto relativo alle altre masse dell’universo (lettura della (a)). L’idea viene confermata dalla considerazione successiva – la (b) – dove Mach sembra proporre una nuova versione dell’esperimento del secchio in cui le pareti divengano molto più massicce ed in tal modo inducano forze centrifughe all’interno dell’acqua.
In breve i due passi (a) e (b) ci inducono a pensare che ‘Le forze inerziali osservate nell’esperienza del vaso sono riconducibili alla presenza delle altre masse dell’universo’, conclusione che Einstein trae nel 1912.
Vediamo ora brevemente la genesi dell’articolo qui tradotto.
E’ necessario partire dal 1907 quando Einstein pubblica un articolo di rassegna sulla Relatività Ristretta dove cerca di estendere il più possibile i domini della nuova teoria, cercando di includere sia il campo elettromagnetico che quello gravitazionale. Per il secondo incontra subito delle difficoltà che lo occuperanno negli anni successivi fino alla formulazione finale del 1915 della nuova Relatività Generale. In quell’anno Einstein compie anche una scoperta fondamentale per il suo cammino: il Principio di Equivalenza. Come egli sia arrivato a concepire l’uguaglianza fra sistemi inerziali immersi in un campo gravitazionale e riferimenti in moto uniformemente accelerato ci è fornito da lui stesso in un manoscritto conservato ora alla Morgan Library di New York (“Grundgedanken und Methoden der Relativitatstheorie in ihrer Entwicklung dargestellt”). Einstein ricorda:.
Fu allora che ebbi il pensiero più felice della mia vita, nella forma seguente. Il campo gravitazionale ha solo un’esistenza relativa, in modo analogo al campo elettrico generato dall’induzione magnetoelettrica. Infatti, per un osservatore che cade liberamente dal tetto di una casa, non esiste – almeno nelle immediate vicinanze – alcun campo gravitazionale [corsivo di Einstein] In effetti, se l’osservatore lascia cadere dei corpi, questi permangono in uno stato di quiete o di moto uniforme rispetto a lui, indipendentemente dalla loro particolare natura chimica o fisica (in questo genere di considerazioni, ovviamente si trascura la resistenza dell’aria). L’osservatore di conseguenza ha il diritto di interpretare il proprio stato come uno ‘stato di quiete’..
Si noti in particolare in questo passo le prime considerazioni di Einstein sul campo elettrico. E’ proprio considerando una certa analogia con la teoria elettrica che egli giunge al Principio di Equivalenza, e, in modo analogo, nell’articolo del 1912 formula per la prima volta il Principio di Mach considerando un effetto simile all’induzione elettrodinamica. Nello stesso articolo del 1907 Einstein raggiunge altri risultati notevoli: 1) lo spostamento gravitazionale verso il rosso; 2) la curvatura della luce in un campo gravitazionale; 3) il fatto che l’energia gravitazionale si può equiparare al prodotto della massa per il quadrato della velocità della luce (risultato della Relatività Ristretta).
I medesimi argomenti trattati nel 1907 vengono ripresi quattro anni dopo nel 1911 con argomentazioni nuove e con un diverso punto di vista; l’articolo (Uber den Einfluss der Schwerkraft auf die Ausbreitung des Lichtes) aveva l’obiettivo di dedurre la deflessione dei raggi luminosi causata dalla massa solare. Mentre nel 1907 Einstein aveva pensato ad esperimenti terrestri per osservare questo nuovo fenomeno, e aveva concluso che era difficile eseguirli, ora aveva spostato l’attenzione ad eventi astronomici che si confacevano maggiormente ad una teoria sulla gravitazione. Oltre a questo fatto sperimentale, l’articolo raggiunge un risultato importante: la velocità della luce in presenza di un campo gravitazionale non è più una costante ma dipende dalle coordinate del punto in cui è misurata.
Questa considerazione è il punto di partenza delle ricerche einsteniane sul campo gravitazionale statico sviluppate l’anno seguente. Nel 1912 lo scienziato tedesco pubblica due memorie su una nuova teoria della gravitazione di cui l’articolo tradotto risulta un supplemento. Fra i molteplici risultati raggiunti ricordiamo una prima equazione che descrive il campo gravitazionale in presenza di una densità di materia costante – D c = k c r ( dove c è la velocità della luce, r la densità di materia e k una costante) – e l’equazione che descrive il moto di una massa puntiforme soggetta all’azione di un campo statico esterno c – d/dt((dx/dt)/((1-q2/c2)1/2)) = - dc/dx/((1-q2/c2)1/2) [tralasciamo le medesime equazioni per le componenti y e z] dove q2 è il quadrato della velocità della particella.
Eccoci ora arrivati alla nota che abbiamo tradotto i cui contenuti sono stati in breve riassunti nella parte iniziale di questa introduzione. |
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La velocità della luce e la statica del campo gravitazionaleA. Einstein
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Il risultato forse più significativo dell’articolo del 1911 (“L’influenza della gravità sulla propagazione della luce”) consiste nell’aver stabilito che la velocità della luce in un campo gravitazionale non rimane costante come nel caso della Relatività ristretta, anzi la sua variazione in funzione delle coordinate spaziali sembra essere un ottimo candidato per poter descrivere la struttura della gravità. Una conseguenza immediata del ragionamento einsteniano è che le trasformazioni di Lorentz non sono più universalmente valide. A questo punto Einstein si trova di fronte al bivio se continuare sulla strada scelta approfondendo i risultati ottenuti grazie al Principio di Equivalenza, oppure cambiare strategia e mantenere le trasformazioni fondamentali della Relatività Ristretta: lo scienziato tedesco opta per la prima via appoggiandosi ad alcune conseguenze importanti desunte nel 1911 (gravità dell’energia, incurvamento dei raggi luminosi in un campo gravitazionale …) e sviluppa le sue considerazioni nell’articolo qui di seguito riportato (“La velocità della luce e la statica del campo gravitazionale ”). Egli dunque ricerca nuove trasformazioni di coordinate che si adattino con maggior facilità allo studio della gravità e presenta alcuni calcoli approssimati utilizzando il modello a tre sistemi di riferimento già sviluppato nel 1907 (A.Einstein “ Jahrbuch der Radioactivitat und Elektronik”, 4,411 (1907)). Considera infatti un primo sistema di riferimento K accelerato lungo l’asse delle x, lo osserva tramite un secondo riferimento Sigma in quiete con potenziale gravitazionale costante ed infine ricerca le trasformazioni di coordinate che legano i due sistemi imponendo la condizione che un guscio sferico di luce mantenga la stessa forma in entrambi. Una volta determinate le leggi di trasformazione sostituisce il sistema K con il terzo riferimento K’ in quiete ma immerso in un campo gravitazionale (cosa possibile grazie al Principio di Equivalenza) e trasferisce i risultati ottenuti al caso gravitazionale.
Fra le trasformazioni di coordinate che egli individua, la più significativa coinvolge la velocità della luce e indica una trasformazione lineare nel passaggio da un sistema privo di campo gravitazionale ad uno immerso in esso: questo risultato gli permette di introdurre la prima forma di equazioni che descrivono il campo gravitazionale. Infatti l’equazione più semplice compatibile con le trasformazioni lineari delle c(x,y,z) è
Delta( c ) =0 (1)
e la conseguente equazione di Poisson diviene
Delta( c ) = k rho c(x,y,z) (2)
Una volta note le (1) e le (2), Einstein passa a considerare le equazioni di un punto materiale libero di muoversi in un campo gravitazionale statico: ancora una volta considera il sistema K accelerato e determina il moto di un punto massivo P libero di muoversi in esso. Le espressioni che ottiene, che in questa introduzione non riportiamo, consentono di determinare la forma dell’energia per questo caso particolare:
E = mc/(sqrt(1-q^2/c^2)) (3)
dove q^2 rappresenta la velocità della particella. La (3) è interessante in quanto una sua forma approssimata al primo ordine determina l’energia cinetica del punto materiale:
E = mc + (m/2c)q^2 (4)
che, a differenza della usuale forma, è un’energia di interazione dipendente dal campo gravitazionale c(x,y,z). La (4) è importante in quanto è ripresa nella nota del 1912 (“Esiste un effetto gravitazionale analogo all’induzione elettrodinamica?”) in cui Einstein propone e approfondisce le considerazioni di Mach sull’origine dell’inerzia.
E’ necessario fare un’ultima considerazione su questo articolo: analizzando i concetti di spazio e tempo nel sistema accelerato K, Einstein si rende conto per la prima volta che l’usuale geometria euclidea non è più utilizzabile. Solo l’anno successivo porterà alle estreme conseguenze questa intuizione e grazie alla collaborazione con Grossmann farà un passo decisivo verso la Relatività Generale.
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L’influenza della gravità sulla propagazione della luceA. Einstein
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History of Theories of Aether and ElectricityWithacker
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Quantum Logic of Semantic Space: an exploratory investigation of context effects in practical reasoningBruza, Cole
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Quantum Collapse in Semantic Space: Interpreting Natural Language ArgumentationBruza, Woods
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Quantum Interaction Approach in Cognition, Artificial Intelligence and RoboticsAerts, Czachor
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Theory Change as Dimensional Change. Conceptual Spaces Applied to the Dynamics of Empirical TheoriesGardenfors, Zenker
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From Features via Frames: Modelling Scientific Conceptual Change without incommensurability or aprioriticityZenker
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Nomic concept, Frames and Conceptual ChangeAndersen, Nercessian
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A Shape Dynamics TutorialMercati
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Connecting the Dots: Mass, Energy, Word Meaning, and Particle-Wave DualityDaranyi, Wittek
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Characterizing Pure High-order Entanglements in Lexical Semantic Spaces via Information GeometrySong, Hou
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Methods of Information geometryAmari
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Geometry of Quantum StatesBENGTSSON, ZYCZKOWSKI
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Semantic Spaces: Measuring the Distance between Dierent SubspacesZuccon, Azzopardi, van Rijsbergen
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A Frame theoretic analysis of two rival conceptions of heatVotsis
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Reconstructing Scientific Theory Change by Means of FramesSchurz, Votsis
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SOME BACKGROUND TO THE ABSOLUTE-RELATIONAL DEBATEBelot Gordon
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Background on absolute/relative debate |
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Algorithm Comparison for Karcher Mean Computation of Rotation Matrices and Diffusion TensorsQuentin Rentmeesters, P.A. Absil
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This paper concerns the computation, by means of gradient and Newton methods, of the Karcher mean of a finite collection of points, both on the manifold of 3x3 rotation matrices endowed with its usual bi-invariant metric and on the manifold of 3x3 symmetric positive definite matrices endowed with its usual affine invariant metric. An explicit expression for the Hessian of the Riemannian squared distance function of these manifolds is given. From this, a condition on the step size of a constant step gradient method that depends on the data distribution is derived. These explicit expressions make a more efficient implementation of the Newton method possible and it is shown that the Newton method outperforms the gradient method in some cases |
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Relational MechanicsA.K.T. Assis
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A quantum probability model of causal reasoningTrueblood J.S Busemeyer J.R.
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By Their properties, causes and effects: Newton's Scholium on time, space, place and motion-I. The TextRynasiewicz, R.
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