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Il rifiuto di Staudinger del modello micellare della gomma
<p style="text-align: justify;" data-start="212" data-end="1131">Nel primo terzo del Novecento la struttura della gomma naturale era al centro di un acceso dibattito. Una delle teorie dominanti, proposta da Carl Harries e sostenuta da molti chimici colloidali, non vedeva la gomma come una vera sostanza ad alto peso molecolare, ma come un aggregato di piccole unità cicliche. Harries, attraverso esperimenti di <strong data-start="559" data-end="572">ozonolisi</strong> – cioè la reazione di molecole insature con ozono che porta alla rottura dei doppi legami e alla formazione di prodotti di scissione più piccoli – aveva ottenuto derivati come l’aldeide levulinica e dedusse che il nucleo strutturale della gomma dovesse essere un composto insaturo ciclico a otto atomi di carbonio, identificato come <strong data-start="906" data-end="931">dimetilcicloottadiene</strong>. Questo idrocarburo insaturo, con due doppi legami in un anello a otto termini e due sostituenti metilici, era per Harries l’unità base che, ripetuta e associata, dava origine al materiale gommoso.</p> <p style="text-align: justify;" data-start="1133" data-end="1831">A differenza di quello che avrebbe sostenuto Staudinger, Harries immaginava che queste piccole molecole non fossero unite in lunghe catene covalenti, ma che fossero mantenute insieme da legami deboli. Qui entrava in gioco la nozione di <strong data-start="1369" data-end="1402">valenze primarie e secondarie</strong> mutuata dalla chimica di coordinazione. Le prime corrispondevano ai legami covalenti veri e propri, forti e direzionali; le seconde erano invece attrazioni più deboli, interazioni parziali che si pensava potessero sorgere tra i doppi legami delle molecole insature. Nell’ipotesi di Harries, la gomma era dunque un insieme micellare di molecole di dimetilcicloottadiene, coese grazie a queste cosiddette <strong data-start="1806" data-end="1828">valenze secondarie</strong>.</p> <p style="text-align: justify;" data-start="1833" data-end="2926">Fu proprio contro questa concezione che Hermann Staudinger, a partire dal 1920, sviluppò la sua teoria macromolecolare. Egli sosteneva che sostanze come gomma, cellulosa e amido dovessero essere composte da catene covalenti di enorme lunghezza. Uno degli argomenti più convincenti fu il celebre <strong data-start="2128" data-end="2172">esperimento di idrogenazione della gomma</strong>.Secondo Harries, saturando i doppi legami mediante idrogenazione (reazione chimica con la quale si addizionano atomi di idrogeno a una molecola di un composto), le forze di coesione secondarie sarebbero scomparse e la gomma si sarebbe disgregata in piccoli idrocarburi volatili. Staudinger e i suoi collaboratori osservarono invece l’opposto: la gomma idrogenata restava una sostanza ad alto peso molecolare, non distillabile e di carattere colloidale. Conservava il suo comportamento fondamentale, solo privo di insaturazioni. Ciò dimostrava che la coesione non dipendeva da deboli interazioni tra piccole molecole, ma da legami covalenti estesi su catene lunghe.</p> <p style="text-align: justify;" data-start="3534" data-end="4490">L’esperimento di idrogenazione, insieme agli studi di viscosità e allo sviluppo della “legge di Staudinger” che correla viscosità intrinseca e peso molecolare, costruiva un quadro coerente. Dimostrando che la gomma non si decomponeva in frammenti a basso peso molecolare dopo idrogenazione, Staudinger smontò il modello micellare e rese credibile il concetto di polimero come macromolecola. In questo modo spostò il dibattito dalla chimica dei colloidi a una nuova disciplina: la chimica macromolecolare. Anche le immagini microscopiche delle particelle di lattice, che Freundlich e Hauser interpretavano come prove dell’esistenza di micelle dotate di guscio e interno viscoso, furono reinterpretate da Staudinger come aggregati secondari derivati da catene vere e proprie. Quello che per i colloidisti era la prova di una struttura micellare, diventava per lui un’illusione ottica della microscopia, coerente con la presenza di macromolecole flessibili.</p> <p style="text-align: justify;" data-start="4492" data-end="4885">Così, partendo dalla questione delle valenze secondarie e dei micelli, il confronto si trasformò in una rivoluzione concettuale. L’elasticità e le straordinarie proprietà della gomma non erano più attribuibili a un mosaico di piccole molecole, ma al comportamento collettivo di catene covalenti di poliisoprene. L’opera di Staudinger segnò così la nascita della scienza dei polimeri moderni.</p>